L'INSEGNANTE E GLI ADOLESCENTI

Riflessioni di una docente sul rapporto con gli studenti adolescenti.

sabato, giugno 09, 2007

DIFFICOLTÀ COMPORTAMENTALI-RELAZIONALI ALL’INTERNO DELLA SCUOLA.

Dall’intervento precedente si evince che la scuola costituisce l’esperienza sociale maggiormente in grado di condizionare non solo la rappresentazione che lo studente costruisce di se stesso, ma più in generale il suo progetto di vita: come uno specchio consente all’adolescente di vedersi, di scoprire i propri limiti e le proprie risorse.
La scuola si trova, però, in molte occasioni, a fronteggiare da sola i fenomeni di sofferenza adolescenziale, di disagio, di trascuratezza, senza un vero coinvolgimento di tutti i protagonisti che sul territorio entrano a far parte dell’educazione del soggetto. La solitudine e la carenza di strumenti spesso impediscono di dare risposte adeguate al disagio.
Il coinvolgimento potrebbe diventare un obiettivo importante della vita scolastica, specialmente in considerazione del fatto che le difficoltà comportamentali-relazionali all’interno della scuola stanno aumentando in modo costante.
Questo anno scolastico giunto quasi al suo termine (per chi si trova a dover presenziare o sostenere gli esami finali della scuola secondaria di primo e di secondo grado) è stato caratterizzato dalla rovinosa presenza e pubblicizzazione di dimostrazioni di disagio adolescenziale: bullismo e violenze contro compagni e personale scolastico, uso di sostanze stupefacenti all’interno delle mura di Istituti, esibizionismi sessuali, ecc.
Sono consapevole del fatto che i giovani passono buona parte della loro giornata a scuola , quindi è probabile che un loro atto deviante avvenga in quest’ambito, ma mi spiego poco la mancata “esplosione” di questa loro interna violenza nell’ambiente domestico, dove vivono la rimanente parte della giornata.
Qual è il fattore scatenante di questa aggressività contro se stessi o gli altri? E’ una richiesta di aiuto urlata a chi solitamente dedica loro più attenzione dei genitori, a chi è disposto a confrontarsi con loro? Oppure i giovani vivono la scuola come una prigione ricca di doveri e regole a cui non sono più capaci di sottostare, ormai a questo impreparati per le continue accondiscendenze da parte delle figure parentali?

sabato, gennaio 06, 2007

SCUOLA: AMBIENTE DI DIFFUSIONE DELLE REGOLE DI CONVIVENZA SOCIALE.

Studi recenti dimostrano che il fenomeno dell’antisocialità giovanile coinvolge un numero impressionante di adolescenti, maggiore di quello stimato dalle statistiche ufficiali e la scuola diventa il “luogo” privilegiato dove costruire il senso di appartenenza e rispetto per le regole della convivenza sociale.
La fascia d’età più a rischio per la messa in atto di azioni antisociali e comportamenti a rischio (assunzione di droghe e alcol, guida pericolosa, ecc.) è quella tra i 16 e i 17/18 anni.
Le risposte che il mondo degli adulti deve fornire a tali fenomeni non deve assolutamente comprendere rassegnazione e passività. La tolleranza nei confronti di comportamenti antisociali difatti ne favorisce la diffusione.
Il percorso di crescita e di sviluppo dei giovani, nel complicato passaggio all’età adulta, passa anche e soprattutto attraverso l’accettazione delle regole della convivenza sociale. La scuola rappresenta la prima istituzione sociale che essi incontrano ed ecco perchè contro di essa frequentemente rivolgono gli atti vandalici.
In questa delicata fase e proprio nell’ambiente scolastico l’intervento del docente può favorire la persona in evoluzione su più fronti: nell’acquisizione di responsabilità, maturità ed emancipazione; nel necessario confronto con le sfide continuamente imposte dalla vita; nel prendere coscienza dei propri limiti e delle proprie risorse (tanto sul piano scolastico quanto su quello affettivo e sociale); nel riconoscimento delle proprie attitudini; nelle riflessioni e discussioni sugli eventi della vita. Tutto ciò deve essere fatto dall’insegnante cercando di non assumere atteggiamenti direttivi o giudicanti, dal momento che le critiche ripetute producono solitamente una reazione difensiva, di chiusura e, in questo caso, di possibile reiterazione dei comportamenti inadeguati, oltre che un arresto dell’iniziativa, dell’apprendimento e della creatività.
Per realizzare ciò però è necessario che il ragazzo si senta accettato, responsabilizzato e considerato come essere pensante, il che può portarlo ad una riflessione critica sul suo comportamento nonché a una possibile revisione dei suoi comportamenti devianti.

mercoledì, settembre 06, 2006

IN AVVIO IL NUOVO ANNO SCOLASTICO

I primi a fare ingresso in aula, lunedì 11 settembre, saranno bambini e ragazzi di Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Piemonte, Molise, Veneto e della provincia autonoma di Bolzano. Gli ultimi, martedì 19 settembre, saranno gli alunni emiliani che rispetto ai compagni potranno godere di otto giorni di vacanza estive in più. Il giorno prima, lunedì 18, sarà la volta degli alunni siciliani, pugliesi e calabresi. Ma il giorno più gettonato dalle amministrazioni regionali italiane per il suono della prima campanella è giovedì 14 settembre che decreta il ritorno in aula per scolari e studenti di ben 8 regioni: Basilicata, Liguria, Marche, Sardegna, Toscana, Umbria, Valle d'Aosta e Lazio (per la sola scuola superiore), che seguono di appena un giorno il rientro a scuola degli alunni della provincia di Trento (e del primo ciclo - scuola elementare e media - per gli alunni laziali) e di due giorni quelli abruzzesi. Per la quasi totalità degli alunni italiani le lezioni termineranno invece sabato 9 giugno.

A tutti gli studenti ed i docenti il mio augurio di un sereno e proficuo nuovo anno scolastico.

mercoledì, agosto 23, 2006

Disagio scolastico: proposte d'intervento.

Cari docenti,
riguardo al disagio scolastico troverete approfondite spiegazioni in:

http://www.educare.it/Scuola/difficolta/disagio_scolastico.htm

in cui sono presenti tre capitoli che analizzano in dettaglio questa problematica.

Vi lascio uno stralcio del terzo capitolo relativo alle modalità di prevenzione del fenomeno:
«Il primo passo di una prevenzione deve essere allora una attenta osservazione: saper riconoscere il disagio e saper riconoscere le situazioni a rischio di disagio. La continuità educativa è un altro aspetto a mio avviso fondamentale per un’ azione preventiva che voglia essere realmente efficace. Se riflettiamo sul momento del passaggio da un ciclo di sudi all’altro è evidente come comporti un certo grado di problematicità, soprattutto relativamente alla fascia d’età qui presa in esame. In un momento particolare quale la preadolescenza/adolescenza un tale passaggio si configura come esperienza di ristrutturazione del proprio ruolo, delle proprie competenze e abilità. Alcune ricerche compiute in Italia evidenziano come le difficoltà che i ragazzi incontrano in questo passaggio siano in primo luogo legate alla relazione con gli insegnanti, poi al metodo di studio, al cambiamento del gruppo classe, dell’ambiente e delle regole della nuova organizzazione scolastica. La transizione fra cicli scolastici costituisce quindi una prova importante per il ragazzo, che può trarne rassicurazioni e buona autostima così come il contrario. La continuità educativa e scolastica ci permette inoltre di gestire in maniera coordinata e coerente eventuali situazioni di disagio emergenti. Altri momenti fondamentali per una efficace strategia preventiva sono poi lo sviluppo di un sistema di rete tra famiglia, scuola servizi e territorio per un coerente e integrato intervento rispetto alle problematiche giovanili generali e specifiche, e lo sviluppo di un servizio psicopedagogico presente nella scuola.»

sabato, agosto 19, 2006

LA SINDROME DA DISAGIO SCOLASTICO.

Per il mondo degli adulti avere buoni risultati scolastici significa essere intelligenti, andare male a scuola vuol dire non esserlo. Questa idea che si è fatta ormai largo fra molti genitori e da alcuni insegnanti è vissuta con disagio dagli studenti, spesso vittime di ansia, paura, tensioni nei confronti delle prestazioni scolastiche e, non per niente, l’uso degli psicofarmaci è diffuso. Al successo scolastico è legata l’autostima, difatti si pensa che chi va bene è intelligente ed avrà una buona carriera, di conseguenza numerosi giovani che non conseguono buoni risultati, scelgono vie alternative per avere una positiva visione di sé, ad esempio praticano una disciplina sportiva, si dedicano alla musica, inseguono la popolarità tra i coetanei. Quei giovani che non vanno bene a scuola ma non riescono a trovare vie alternative di realizzazione rischiano l’apatia o la depressione.
Molti psicologi hanno parlato di sindrome da disagio scolastico, definibile come malessere psicologico causato da un’esperienza scolastica insoddisfacente da vari punti di vista. Tale sindrome non è alimentata soltanto da eventuali carenze intellettive o scarso sostegno della famiglia, ma anche e soprattutto dal clima psicologico della classe o dell’istituzione. Per clima psicologico si intende la qualità dei rapporti intercorrenti tra l’alunno ed i compagni, tra l’alunno ed i suoi insegnanti, il modo di percepire il regolamento scolastico.
Gli insegnanti hanno un ruolo rilevante nella formazione dei giovani perché sono delle figure adulte non legate agli allievi da rapporti prevalentemente affettivi, per questo possono fornire modelli sociali ritenuti meno “invischianti” di quanto lo siano i genitori. Un buon docente, oltre a essere preparato professionalmente, dovrebbe possedere capacità relazionali per essere in sintonia con gli allievi e sapere fare funzionare la classe. Infatti, se l’insegnante si concentra sul singolo rischia di perdere il controllo del gruppo, cosa che aumenta la confusione, mentre sapere interagire con l’intera classe comporta maggiore livelli di motivazione e partecipazione di tutti gli studenti.
Alcune righe di uno scritto di Umberto Galimberti dal titolo “Silenzio in aula” apparso su “la Repubblica” del 13 Marzo dell’anno 2001 può essere illuminante:
“[…] a partire dall’adolescenza, per un naturale processo psicobiologico, i figli, per emanciparsi dalla famiglia, riducono il loro livello di comunicazione in casa per aprirlo fuori, con quei sostituti genitoriali che finiscono poi con l’essere i professori. Se i professori tacciono perché il loro compito è solo l’istruzione, va da sé che gli studenti si trovano di fronte a un vuoto, a una risposta mancata, che andranno a cercare altrove, ma non a scuola. Non dimentichiamo che a motivare un ragazzo a scuola non è il sapere (che semmai è un mezzo), ma il riconoscimento senza cui non si costruisce alcuna identità. Se il riconoscimento manca, come manca sempre a chi va male o va così così a scuola, l’identità, che è un bisogno assoluto per ciascun adolescente, la si costruisce altrove, in tutti i luoghi, scuola esclusa, dove è possibile raccattare riconoscimenti. Se poi fuori dalla scuola resta solo la famiglia (che a quell’età è solo l’ambito protettivo da cui, come gli aquilotti, si prova ad uscire) allora l’alternativa o è la strada con quel che la strada può fornire o è la solitudine non meno pericolosa […].

giovedì, marzo 09, 2006

Alcune informazioni in più...sui libri.

La preparazione psicologica è una componente fondamentale della professionalità degli insegnanti e può realmente aiutare noi docenti a migliorare la qualità dei nostri rapporti con gli studenti. In questo senso, io ho trovato molti consigli utili e delicidazioni in alcuni testi che riguardano il mondo dell'adolescenza. Qui di seguito, vi evidenzio tre titoli:
Petter G.,Problemi psicologici della preadolescenza e dell'adolescenza,La Nuova Italia Editrice, Firenze, 1987;
Petter G., Psicologia e scuola dell'adolescente. Aspetti psicologici dell'insegnamento secondario, Giunti.
Giori F. (a cura di), Adolescenza e rischio. Il gruppo classe come risorsa per la prevenzione Franco Angeli, Milano, 1998.

Ed infine, riguardo al rapporto educativo con studenti adolescenti in situazione di handicap vi consiglio:
Cannao M., Problemi emozionali nel rapporto educativo, Editrice La Scuola, Brescia, 1989.

Buona lettura!

mercoledì, marzo 01, 2006

Alcune informazioni in più.

Volete approfondire le vostre conoscenze sul mondo degli adolescenti?
Vi segnalo:
http://www.psicopedagogiKa.it
ed in particolare la sezione sull'Adolescenza.

RICHIESTE...E RISPOSTE.

Tutti noi sappiamo, anche per esperienza diretta essendo stati un tempo adolescenti, che tale età è caratterizzata da richieste, anche forti, di autonomia.
Il pericolo in cui un insegnante può incorrere, trovandosi di fronte ad allievi che mostrano palesemente questo desiderio e che sono attenti più ai compagni che al docente stesso, è quello di ritenere che il suo compito si esaurisca nell'insegnare bene la sua disciplina e che non debba essere di aiuto agli studenti, in quanto persone in crescita.
Gli adolescenti, difatti, pur dimostrando un forte desiderio di autonomia, sentono il bisogno di essere aiutati a fronteggiare i loro problemi. Sicuramente, e vi parlo per esperienza, la richiesta di aiuto viene fatta in modo implicito: noi insegnanti siamo comunque degli adulti e possiamo giudicarli ed inoltre i ragazzi non sono disposti a mettersi in gioco in maniera palese!Quali sono allora le richieste?
Innanzitutto quella di affrontare temi per loro interessanti, significativi, in cui sentirsi coinvolti, collegati alle loro esperienze. Nella mia disciplina, lettere, questo è abbastanza semplice: i testi antologici aiutano a ritrovare brani in cui l'adolescente può riconoscersi nel protagonista dell'opera; egli, attraverso la lettura, può anche capire di non essere diverso dal resto dei giovani, di avere le medesime preoccupazioni, gli stessi sconvolgimenti fisici.
A mio parere, però, la cosa è fattibile anche nelle altre discipline: l'importante è far sentire gli allievi presi in considerazione, considerare le loro idee, valutare le loro opinioni. Noi insegnanti dobbiamo ricordarci che per fare ciò dobbiamo avere atteggiamenti di attenzione e di ascolto e soprattutto puntare a discussioni alla pari.
Un'altra richiesta degli allievi adolescenti è la valorizzazione personale, ossia il desiderio di vedere riconosciute sia a tu per tu, ma in particolar modo, davanti ai compagni le proprie qualità positive, i risultati raggiunti, i progressi effettuati. Cosa fare per rispondere a questa esigenza? L'esperienza mi ha insegnato che bisogna sempre mettere in risalto la positività delle prestazioni o di parte delle stesse. E se, ahimè, di positivo c'è poco, si deve cercare di approfondire insieme allo studente le ragioni dell'insuccesso, mostrando un atteggiamento di totale fiducia verso un miglioramento futuro. Come docenti non dobbiamo dimenticare che è importante infondere fiducia negli adolescenti sulle loro capacità e potenzialità!